Quando si parla di aggressività, devianza, violenza, spesso, se non quasi sempre, si associa l’immagine dell’uomo, perché accade ciò? Perché la donna è stata sempre rappresentata come essere passivo in quanto non educata all’aggressività, per cui immaginarla nelle vesti di aggressore o carnefice è considerato sconveniente e impossibile. Si è pensato per lungo tempo che la donna non fosse in grado di commettere atti violenti, più lontano il pensiero addirittura di commettere omicidi, perché ella nasce con una conformazione corporea che la predispongono a dare la vita e non può toglierla, quindi “donna violenta” è quasi da considerarsi come un ossimoro! La bambina viene educata alla tolleranza, alla pazienza e non alla competizione che è tipica del bambino; ciò non toglie che non sia insita in lei alcuna forma di aggressività, ma in lei è presente in maniera mascherata e contenuta che si manifesta in maniera verbale o in maniera indiretta a differenza dell’uomo in cui è ritroviamo, nel suo manifestarsi, l’uso delle mani. Freda Adler, sociologa statunitense, mette in relazione l’emancipazione femminile e la criminalità, se si considera che i crimini sono per lo più di dominio maschile, la donna si è mascolinizzata e una delle conseguenze è l’incremento della criminalità femminile. Vi sono delle differenze base sul modus operandi di un uomo e quello di una donna, ad esempio le omicide seriali non infieriscono sul cadavere con manifestazioni overkilling, oppure scelgono le loro vittime tra soggetti con i quali hanno avuto forme di contatto. Tra le diverse tipologie troviamo la “vedova nera” che è colei che uccide mariti, amanti o altri membri della famiglia, ma anche al di fuori di essa, è la più attenta e metodica della categoria e spesso all’omicidio è correlato un interesse di natura economica; oppure l’”assassina psicopatica” che uccide perché in preda ad un delirio interiore accompagnato da allucinazioni.
L’infanticidio è il tipo di azione delittuosa che più lascia sgomenti, proprio per il fatto che la donna così come da la vita, così la toglie, questa è, usualmente, una madre malata di mente, gelosa e vendicativa, a tal proposito non si può non citare Medea che, secondo il suo mito, uccise i suoi figli per vendicarsi nei confronti di Giasone, il marito che l’aveva tradita. Ma cosa porta una madre ad uccidere il proprio figlio? Cosa succede dentro di loro? Tra i principali motivi troviamo la presenza di patologia mentale; dalle madri la gravidanza viene vista come un periodo difficile in cui è possibile sviluppare una patologia, però non sono da sottovalutare i sintomi depressivi. Nell’infanticidio si riscontrano spesso le psicopatologie puerperali che sono rappresentate da tre forme che hanno diverso grado di gravità e le caratteristica comune della depressione, queste vengono classificate a seconda la loro gravità, ad esempio abbiamo la maternity blues che significa letteralmente “madre triste”, essa è una forma moderna della depressione dopo il parto ma che si differisce dalla depressione post-partum, la sua incidenza è relativamente alta e raramente conduce al neonaticidio; troviamo anche le psicosi puerperali che sono un tipo di psicosi rare che compaiono poche ore o giorni dopo il parto e possono durare per molto tempo, i contenuti dei deliri riguardano la colpa, paura che possano rapire il figlio. Tra i disturbi che non sono legate al puerperio vi sono: Disturbo depressivo maggiore, schizofrenia, disturbi di personalità, ma vi sono anche altri disturbi che possono incidere sulle madri figlicide, ed essi sono ad esempio l’epilessia, ritardo mentale, disturbi correlati a sostanze. La negazione della gravidanza viene definito come grande sintomo psichiatrico che espone la donna e il feto a rischi complicazioni, come ad esempio un parto precipitoso, per arrivare al caso del neonaticidio, i n questi casi ciò che manca è l’investimento affettivo, in quanto non esiste la presa di coscienza dell’esistenza del bambino. Esistono delle differenze, da un punto di vista psicologico, tra il neonaticidio, infanticidio e figlicidio. La motivazione al neonaticidio è quello di impedire l’inizio della vita, ed è paragonabile ad un aborto tardivo che si verifica prima del legame affettivo; il figlicidio viene commesso dopo che si è instaurato un legame affettivo e si sono delineate delle dinamiche di convivenza e sentimenti contrastanti. Il rapporto madre-bambino è stato sempre considerato tra i rapporti più amorevoli e protettivi, ma allo stesso tempo è uno dei rapporti più delicati e importanti. Lungi dal pensiero che esso possa sfociare in azione criminale; già nell’antico medioevo erano numerosissimi i casi di infanticidio, venivano catalogati come incidenti perché vi era l’usanza di dormire nello stesso letto della madre per cui era facile che potesse succedere;in tempi più recenti vi sono dei casi di figlicidio per ingraziarsi o ringraziare le divinità; figlicidio altruistico, con l’obiettivo di salvare il figlio dalla sofferenza. Diverse sono le motivazioni che portano la madre a compiere il gesto che più si crede impensabile, cioè uccidere il proprio figlio. La madre figlicida vive la nascita del bambino come un impedimento al proprio agire, il dover fare può scaturire in figlicidio in quanto viene escluso il valore intenzionale della scelta della madre, in tale processo elimina il filo che la unisce al figlio. Alcuni degli agiti delle madri: alcune donne portano il proprio neonato nei luoghi pubblici così da farlo notare ed essere salvato da altre persone; diversi autori sostengono che queste donne abbiano una conflittualità con le proprie madri, che viene vista come cattiva, può introiettare per cui le tendenze autodistruttive che ne derivano le può manifestare in un desiderio di morte nei confronti del figlio, che diviene cattivo a suo volta; vi sono madri che desiderano uccidersi ed uccidono il proprio figlio, si convincono che il loro figlio non potrà mai vivere in un mondo così avverso, così cattivo; madri che dispensano cure affettuose ma in realtà stanno subdolamente uccidendo il figlio, in questo caso troviamo quella che viene definita sindrome di munchausen per procura, cioè la madre che causa lesioni, spesso gravi, al figlio e simulano delle malattie con l’obiettivo di ottenere attenzioni dal medico. Solitamente sono madri che somministrano farmaci, sostanze dannosi per la salute del bambino. In conclusione possiamo dire che la mancata relazione o la relazione disturbata madre-bambino, sia alla base di tali azioni, l’incapacità di comprendere bene ciò che accade al proprio corpo che cambia durante la gravidanza o comunque non accettarlo o addirittura negarlo, induce la futura madre ad “eliminare il problema”. Concludo riportando una parte dalla Medea di Euripide:
Giasone: che madre crudele vi è toccata, figli!
Medea: per la follia di vostro padre siete morti, figli!
Giasone: non è mia la mano che li ha uccisi.
Medea: li ha uccisi l’oltraggio delle tue nozze…
Giasone: perché li hai uccisi?
Medea: per farti soffrire!
Dott.ssa Ida Campanella , Psicologa. Mail: idacmp@libero.it