L’angoscia in arte : Edvard Munch

Edvard Munch, pittore norvegese nato nel 1863 e divenuto famoso in tutto il mondo per il suo quadro “L’Urlo”, è uno dei maggiori esponenti dell’Espressionismo, corrente pittorica che sposta la visione dall’occhio all’interiorità più profonda dell’animo umano.  Chi scrive parte dal presupposto che la vita e la personalità dell’artista, incidano profondamente nell’opera e che in certi casi, l’opera stessa sia come una radiografia dell’anima dell’artista. Questo parallelismo calza perfettamente con quello che è l’uomo e il pittore in questione, com’è dimostrato dalla sua biografia : la sua infanzia e adolescenza furono caratterizzati da lutti importanti e a  soli 5 anni perde la madre per la tubercolosi,  quando lui aveva 13 anni, perde l’amata sorella Johanne Sophie, per la stessa malattia. Il padre medico, combattuto dai sensi di colpa per non essere riuscito a salvare la moglie e la figlia, cadde in depressione, influenzando in maniera decisiva lo sviluppo psichico del piccolo Edvard. I vissuti luttuosi, mai elaborati veramente, tormentavano il giovane pittore con sonni agitati e comportamenti di chiusura nei confronti delle persone esterne al suo entourage familiare.

Il primo dipinto creato da Munch fu “La fanciulla malata” del 1886, dove le due figure umane, ovvero Sophie e la donna alla sua destra sono immortalate nel momento delicato del passaggio della giovanissima dalla vita alla morte. Il dipinto appare poco nitido, come coperto da una leggera coltre di fumo e «la loro presenza viene fatta sentire come grumi fatti di sentimenti, di passioni, talmente intensi da diventare concreti» (1). Inoltre,  i soggetti raffigurati non hanno l’età in cui è morta Sophie ma quella in cui è stato realizzato il dipinto, segno che il lutto si è protratto nel tempo.

LE CRITICHE

Munch dovette affrontare, per questo suo stile ardito, la spietata  critica degli esperti d’arte dell’epoca e del pubblico; ciò che infastidì maggiormente fu la mancanza di contorni netti, intesa come una sciattezza pittorica, e non come il frutto di una scelta compositiva ben precisa e interiorizzata. Nonostante la durezza e l’ostilità con le quali vennero accolte le sue opere, Munch continua imperterrito a dipingere, trovando nella pittura il suo rifugio e il mezzo con il quale liberarsi dalle sue angosce e fare i conti con esse: emergevano, talvolta, durante la sua creazione artistica, rabbia e dolore che Munch fisicamente scagliava sulla tela con colpi di spatola e pennellate vigorose, graffi sulla tela.

E.Munch: La fanciulla malata (1885)

MUNCH E LE DONNE

Il rapporto con le donne è sempre stato per Munch altamente conflittuale: l’angoscia mai elaborata dell’abbandono improvviso, loro malgrado, delle due figure femminili più importanti della sua vita, lo porterà a vivere rapporti tormentati e turbolenti. Uno su tutti, la relazione con Tulla Larsen che si concluse in tragedia:  l’artista rifiutava le pressanti richieste di matrimonio della donna, scoppió una violenta lite e Tulla sparó al compagno, che perse così un dito.  L’angoscia esistenziale lo attanagliò anche e soprattutto nei rapporti affettivi. Così come nei rapporti con gli altri in generale , Munch , oscillava tra la voglia di avvicinarsi all’altro per avere conforto e sostegno,  e la paura del contatto profondo e così fu con tutte le donne che ebbe modo di frequentare : era molto attratto dalle donne, ma nel contempo aveva paura di esserne inglobato, fagocitato. La donna amata in effetti è per Munch un vampiro, un demone spietato che uccide l’uomo nell’amplesso succhiandogli la linfa vitale: l’uomo è attratto da lei e non può sottrarsi a questo ineluttabile destino.

Il pittore, secondo lo psichiatra Marco Alessandrini , era afflitto da un ‘angoscia esistenziale che lo spingeva alla coazione a ripetere, ovvero, quel meccanismo per il quale l’individuo tiene vivo nella sua mente, uno stato d’animo di per sè doloroso, illudendosi così di poterlo tenere sotto controllo.

“I suoi capelli rosso sangue si erano impigliati in me, si erano avvolti intorno a me come serpenti rosso sangue, i loro lacci più sottili si erano avvolti intorno al mio cuore”. (Edvard Munch, Diario. In Scritti sull’arte e sull’amore, 2002).

Occhi negli occhi (1894)

IL RICOVERO

L’angoscia che caratterizzava e permeava la vita mentale del pittore, era spesso affogata nell’alcol: questa sua dedizione etilica lo portò sull’orlo del baratro e nel 1908 ebbe un crollo nervoso, un episodio psicotico che gli fece capire la gravità della sua situazione, ragion per cui si decise per il ricovero presso una clinica di Copenaghen, seguito da un bravo medico.

Al termine di questo ricovero, Munch affrontò un periodo di maggiore serenità e ciò influenzò visibilmente la sua pittura, iniziando a dipingere ritratti con colori più vivaci e brillanti. Si circonda di natura e modelle, con le quali probabilmente intrattiene brevi e fugaci rapporti, rifugendo sempre il legma e stabile e profondo.

Autoritratto all’inferno (1903)

In ultima analisi, è importante sottolineare come l’arte, per Munch, fu una  sorta di tentativo di comunicazione tra il suo angoscioso mondo interno, lacerato dal perenne conflitto indipendenza vs dipendenza, e il mondo esterno, al quale chiedeva appoggio e conforto, ma che contemporaneamente rifuggiva, in quanto potenziale apportatore di nuova angoscia e delusione.

Un altro aspetto importante, comunque, secondo la mia opinione, è la funzione riconciliatoria con l’altro che la pittura rappresenta per Munch.

Dirà infatti: “La mia pittura è in realtà un esame di coscienza e un tentativo di comprendere i miei rapporti con l’esistenza. È, dunque, una forma di egoismo, ma spero di riuscire grazie a lei ad aiutare gli altri a vedere chiaro.”

Ragazze sul ponte (1909)

Autrice : Laura Muscarella, Psicologa

Letture consigliate: Marco Alessandrini- La mente spiegata da Edvard Munch- Ed.Magi

 

(1) A. Cocchi, Bambina malata, Geometrie fluide.

 

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