Amnesia infantile: perché non ricordiamo nulla della nostra prima infanzia?

La maggior parte di noi ricorda poco o nulla di quel che ci è accaduto prima dell’età di 2 o 3 anni. In
particolar modo studi sulla memoria autobiografica indicano che la maggior parte delle persone ha
pochissimi ricordi dei primi 5 anni di vita. Questo fenomeno è noto come “amnesia infantile”.

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Nonostante l’amnesia infantile sia conosciuta da molto tempo, è un fenomeno difficile da studiare;
infatti valutare le capacità di memoria dei bambini nella prima infanzia è abbastanza complesso, in
quanto sia le loro abilità linguistiche che motorie sono praticamente inesistenti o molto limitate. Ma
è altrettanto difficoltoso valutare l’accuratezza dei resoconti autobiografici degli adulti, dato che
molto spesso è necessario risalire molto indietro nel tempo oppure stabilire se ciò che gli adulti
riferiscono dei loro primi anni di vita sia basato su genuine rievocazioni episodiche o su conoscenze
fornite da altri (genitori, parenti).
Nel corso del tempo sono state formulate diverse ipotesi circa l’origine dell’amnesia infantile.
La più famosa è, senza dubbio, quella fornita da Sigmund Freud. Secondo Freud, l’amnesia
infantile è causata dalla rimozione: i pensieri e le esperienze che hanno un significato minaccioso
vengono relegati nell’inconscio. Pur essendo una teoria piuttosto interessante, presenta diversi
limiti. Il problema più evidente è che essa non spiega come mai gli adolescenti e gli adulti non siano
in grado di ricordare eventi positivi e neutri risalenti ai loro primi anni di vita, anche se, tali eventi
non dovrebbero essere stati rimossi.
Più recentemente sono state proposte due importanti teorie sull’amnesia infantile: il Sé cognitivo e
la teoria socioculturale.
Secondo la teoria del Sé cognitivo, nella prima infanzia i bambini sono in grado di formare ricordi
autobiografici solo dopo aver sviluppato un senso di sé al quale poter riferire gli eventi dotati di
valenza personale. Infatti i risultati di uno studio su bambini di età compresa fra 15 e 23 mesi hanno
dimostrato che i bambini in grado di riconoscere se stessi ricordavano un maggior numero di eventi
personali rispetto ai bambini che non erano in grado di riconoscersi.
La teoria socioculturale, invece, afferma che il linguaggio e la cultura hanno un ruolo centrale
nella formazione della memoria autobiografica. Ci sono molte prove a sostegno di tale teoria, come
ad esempio uno studio che ha mostrato come la capacità di parlare fin da piccoli del passato era
molto più sviluppata nei bambini le cui madri avevano uno stile di rievocazione elaborativo che non
nei bambini le cui madri parlavano poco del passato.
Tuttavia, il fatto che anche negli animali sperimentali si sia osservato il fenomeno dell’amnesia
infantile, suggerisce che quest’ultima non può essere spiegata soltanto in termini puramente umani.
Per questo motivo, negli ultimi anni, l’attenzione si è spostata sullo sviluppo post-natale di regioni
cerebrali importanti per la memoria, relazionandolo con l’amnesia infantile.
Sulla base di ciò è stata proposta un’ipotesi biologica che si è focalizzata sulla nascita di nuovi
neuroni nella regione dell’ippocampo durante il periodo post-natale ovvero la neurogenesi. Si è
osservato che nei neonati (umani, primati non umani, e roditori) alti livelli di neurogenesi
ippocampale erano associati ad una difficoltà nel formare ricordi duraturi. Per contro, una riduzione
dei livelli di neurogenesi post-natale corrispondeva alla capacità di formare e mantenere nel tempo i
ricordi.
Questa ipotesi è stata supportata da diversi studi, come ad esempio quello condotto da Josselyn e
Frankland, in cui nei topi sono stati aumentati o diminuiti i livelli di neurogenesi, scoprendo che gli
animali in cui la produzione di cellule nervose veniva rallentata avevano una memoria migliore
rispetto a quella dei topi in cui la neurogenesi veniva velocizzata.
In conclusione si può affermare che alti livelli di neurogenesi regolino negativamente la capacità di
formare ricordi duraturi, in quanto vanno a sostituire le connessioni sinaptiche nel preesistente
circuito di memoria dell’ippocampo.
Inoltre, la stretta somiglianza fra il cervello dei roditori e quello umano, permette di supporre che
anche nell’uomo la neurogenesi sia un fattore determinante per lo sviluppo dell’amnesia infantile.
Giunti a questo punto, si può pertanto affermare che non c’è da preoccuparsi per questo fenomeno,
essendo una delle tante conseguenze indotte dallo sviluppo cerebrale.
In altre parole, il nostro cervello per poter maturare deve rinunciare al passato in favore del futuro.
Dott. Fabio Rossi, psicologo in formazione

Rif. bibliografici:

 Baddeley, Eysenck & Anderson – La memoria – Il Mulino (2009)
 Sheena A. Josselyn and Paul W. Frankland, “Infantile amnesia: A neurogenic hypothesis”, Learn. Mem. 2012 19: 423-433.

 

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